Una mente brillante a cui qualcuno ha dedicato soltanto un approfondimento nella biografia di suo padre, il poeta Lord Byron. Un ricordo ingiusto, anche perché i due non ebbero alcun tipo di rapporto; il merito della sua formazione fu soltanto di sua madre.
La contessa Lovelace fu la madre dell’informatica e la prima programmatrice al mondo. Nella Londra vittoriana (stile Poor Things, ma quella vera) e della Prima rivoluzione industriale, una giovane di nobili origini entrava a contatto con la matematica e le scienze innovandone gli scopi. Il contributo più noto fu alla macchina analitica di Charles Babbage, che la definì l’”incantatrice dei numeri”. I due si incontrarono a un ricevimento nel 1833.
Tra gli appunti di Ada Lovelace a margine della sua traduzione all’articolo di Luigi Menabrea, fu ritrovato un algoritmo (Nota G) per calcolare i numeri di Bernoulli, il primo nella storia a essere concepito come software per un’elaborazione da parte della macchina (il computer) che, prevedeva, avrebbe acquisito la capacità di superare il mero calcolo numerico (ed escluse la possibilità che potesse sviluppare una coscienza umana): «It can follow analysis; but it has no power of anticipating any analytical relations or truths». Descrisse come i codici potevano essere creati includendo lettere e simboli e teorizzò un metodo di ripetizione in serie delle istruzioni (looping). I suoi studi furono recuperati da Alan Turing nel 1940.
Nel 1979, in suo onore fu chiamato “Ada” un nuovo linguaggio che unificava gli altri linguaggi di programmazione. Il film “Conceiving Ada” (1997) è ispirato alla sua figura e compare anche nelle serie tv Victoria (2×02) e Doctor Who (12×02). Infine, nel 2018 è stato fondato l’Ada Lovelace Institute, con lo scopo di garantire che “i dati e l’Intelligenza Artificiale siano al servizio delle persone e della società”.
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